"A Chiara": quando il reale buca lo schermo
- cinebucolico
- 10 ott 2022
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 2 dic 2022
a cura di Chiara Musicò.

A Chiara è, per antonomasia, una finestra che affaccia sugli equilibri e gli scompensi del reale. Montato da Affonso Gonçalves e vincitore di più premi, il lungometraggio chiude la Trilogia di Gioia Tauro di Jonas Carpignano, che negli anni precedenti scrive e dirige Mediterranea (2015) e A Ciambra (2017). L’intimo sguardo del regista, il quale anche in questo caso si occupa della sceneggiatura del film, fotografa con un delicato neorealismo contemporaneo i luoghi, la cultura e le ferite della città calabrese, senza aggiun
te né semplificazioni.
La recitazione di Swamy Rotolo prende lo spettatore per mano e lo accompagna nella vita di Chiara Guerrasio, una quindicenne nata e cresciuta a Gioia Tauro. Non ci sono sparatorie né eventi portati all’estremo, ma la storia di una ragazza che vive in un piccolo paese del sud, va a scuola, esce con le amiche e scopre che anche il proprio padre – interpretato da Claudio Rotolo – è parte della ‘Ndrangheta.

È anche grazie a questo che il film acquista credibilità, discostandosi da tutti i Gangster Movies che hanno come tema la criminalità organizzata. Gli occhi magnetici dell’attrice bucano lo schermo e attivano un processo di empatia raro nel mondo del cinema. Gli accenti di tutti gli attori corrispondono a quello di Gioia Tauro: viene rispettata persino la cantilena che contraddistingue la parlata della comunità Rom da quella dei gioiesi. Ad eccezione di qualche battuta modificata in post-produzione, il cui doppiaggio non coincide con il labiale degli interpreti, i dialoghi sono spontanei.

La famiglia di Chiara, che è anche quella biologica di Swamy, viene mostrata con una naturalezza quasi documentariale sin dai primi minuti del lungometraggio: dalla dimensione domestica a quella quotidiana, fino a quella sociale. Il direttore della fotografia Tim Curtin gioca molto con questo aspetto, alternando i toni caldi della serenità familiare a quelli freddi del timore, del dubbio e del sospetto. Luci e ombre giocano a favore dell’atmosfera complessiva di A Chiara, influenzata anche dalla colonna sonora: Romer e Zeitlin riescono a creare un tappeto sonoro eccezionale, complice dell’atmosfera d’inquietudine che contraddistingue il film. La scelta della musica è anch’essa significativa: si opta per canzoni trap e commerciali, in linea con i gusti della protagonista. Acuto e vicino ai temi della vicenda l’inserimento della canzone Voce nel finale. Potenti le inquadrature “di nuca” e le riprese con la camera a mano, marchi di fabbrica di Carpignano presenti anche in A Ciambra. Da evidenziare, infine, la costruzione circolare della sceneggiatura: il chiuso della palestra nell’incipit e lo spazio aperto del centro sportivo sul finale sono segno della crescita di Chiara, che ha liberato finalmente sé stessa e lo spettatore.

A Chiara è la delicatezza di parlare di ferite aperte senza scadere nella banalizzazione, è il rispetto di una cultura, è l’amore per il vero.
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