top of page

An Elephant Sitting Still - “You can go wherever you want, however, you’ll find nothing different.”

  • Immagine del redattore: cinebucolico
    cinebucolico
  • 2 nov 2022
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 11 nov 2022

A cura di: Gennaro Spoltore.

Nel 2018 viene presentato al festival del cinema di Berlino il primo lungometraggio di Hu Bo, un giovane regista cinese, morto suicida l’anno prima, poco dopo aver completato il montaggio del film.

Racconta le vicende di tre ragazzi e un signore pensionato che vivono nella periferia di una città dispersiva e fredda. La trama si svolge in un unico giorno, alternando i vissuti dei quattro protagonisti. Wei Bu, dopo un litigio con un bullo della scuola, scappa da solo dal liceo, e Yu Cheng, capo di una piccola gang e fratello del bullo decide di cercarlo per vendicarsi. Anche Huang Ling, compagna di classe di Wei Bu, si ritrova a vagare per la città senza una meta precisa, così come Wang, un anziano pensionato stanco di essere visto come un peso dalla famiglia.

Le vite dei protagonisti non sono connesse, ma sono molto simili, le loro famiglie sono offuscate da un egoismo che sembra avvolgere l’intera città, mentre loro vanno avanti per inerzia, vivendo sia le storie d’amore che le tragedie quasi senza emozione. Eppure c’è qualcosa, c’è una debole speranza che li spinge alla ricerca di una vita diversa, nata dalla notizia che in una città vicina, a Manzhouli, c’è l’ elefante di un circo che rimane seduto tutto il giorno, indifferente ai visitatori incuriositi che cercano di pungolarlo o di dargli da mangiare. Così, dopo il susseguirsi di alcuni tragici eventi, le loro vite iniziano ad intrecciarsi, verso una destinazione comune: Manzhouli.

Hu Bo riesce ad affrontare tematiche differenti, come l’amore non corrisposto, la morte di una persona cara, o l’inutilità della violenza. Tuttavia, la più evidente è la solitudine, quasi nichilista, che porta a sentirsi un rifiuto come tanti all’interno di una società troppo grande, ed essa, unita all’ostilità che caratterizza gli altri personaggi, spinge i protagonisti a compiere delle azioni a loro volta negative. E qui entra in gioco un’altra importante tematica affrontata nel film: nessuno è del tutto buono o cattivo, ma persino chi ha le intenzioni più pure, viene corrotto dalla durezza della vita.

Si potrebbero fare varie ipotesi su cosa rappresenti l’elefante che dà il nome al titolo. Potrebbe essere la personificazione di un ideale da raggiungere, del riuscire come lui a stare lì fermi, in uno stato di atarassia, o potrebbe simboleggiare un collante invisibile che lega le vite di chi prova sofferenze simili. A me piace pensare che rappresenti la speranza genuina e immatura che ci permette di riemergere anche dalle situazioni più difficili, una meta tangibile o irreale, di cui tutti abbiamo bisogno.

Nonostante la durata di quasi quattro ore, An Elephant Sitting Still riesce a catturare lo spettatore, grazie alla fluidità degli eventi e ai continui passaggi di trama da un personaggio all’altro. Hu Bo ci fa entrare a contatto con l’intimità dei personaggi, mostrandoci scene di vita quotidiana semplici, come l’anziano signore che mangia del ramen prima di rientrare a casa, o Wei Bu che cammina senza una meta precisa. I protagonisti rimangono soli coi loro pensieri, accompagnati dal frastuono del traffico o dalla chitarra graffiante della colonna sonora.

Il modo in cui il regista ha deciso di mostrarci il susseguirsi delle vicende richiama lo stile di Kiarostami in “Il sapore della ciliegia”, o di Nemes in “Il figlio di Saul”, la telecamera è sempre puntata sui protagonisti, e ci che arriva allo spettatore è solo la loro reazione a quello che gli accade attorno. Quindi vediamo quasi sempre il controcampo della scena principale, ma nonostante non vengano mostrate direttamente alcune azioni, non sentiamo la necessità di capire cosa stia accadendo, perché l’espressione dei loro volti diventa più coinvolgente della scena stessa. Hu Bo ci porta, così, ad essere dei secondi spettatori, a seguire i personaggi come se li spiassimo, passo dopo passo, durante il loro viaggio. E quei primi piani si dissolvono, infatti, solo nell'ultima scena, quando vediamo i protagonisti sempre più lontani, come se finalmente potessero respirare, liberi da quell'angoscia che aleggiava su di loro prima di arrivare, finalmente, a destinazione.

Comentários


bottom of page