BEAU HA PAURA DEL SOGNO (AMERICANO)
- cinebucolico
- 3 mag 2023
- Tempo di lettura: 4 min
a cura di: Marco Speroni

Finalmente. Finalmente un film visceralmente e genuinamente disturbante. Un film senza trama, ma strabordante di concetti. Un film interpretabile, ma non analizzabile.
L’A24 sta portando avanti la sua rivoluzione e questo film è un ennesimo tassello, o meglio una bandiera, o ancor di più uno stendardo. Un film folle, energico, sconvolgente, ma tremendamente seducente.
L’A24 ha lasciato ad Ari Aster una libertà inedita e lui è stato capace di sfruttarla al meglio. Ogni ripresa è calibrata al minimo dettaglio, ogni scena è realizzata alla perfezione, ogni sequenza è pensata minuziosamente.
Ari Aster ha dato sfogo a tutte le sue idee più complesse, angoscianti, e a tratti perverse, realizzando qualcosa di personalissimo.

Si è denudato, è uscito senza vestirsi, poi in pigiama, e poi si è messo a nudo nuovamente, questa volta interiormente. Come Joaquin Phoenix, un attore che riesce a scavare nello squilibrio psichico in un modo sempre rinnovato ed inedito, a cui basta una camicia da notte e una camminata goffa per immergersi in un delirio sensoriale. Perché Beau is afraid (2023) è un caos, un’allucinazione, un’alterazione mentale. Il film sembra svolgersi nella mente del protagonista in preda alla degenerazione. Ma è piu di questo. Ari Aster ha voluto creare una metafora generale e sottesa della societa americana utilizzando un antieroe per eccellenza. Ciò che noi vediamo susseguirsi sullo schermo non è altro che il contrario di tutto cio che è “americano”.
Il percorso dell’”eroe” protagonista è un’estremizzazione contraria a tutto cio che la societa americana sostiene.
Fin dall’inizio geniale del film, quando il parto viene mostrato come una caduta violenta nel mondo, invece di una nascita amorevole. Lo psicoterapeuta, le pastiglie, il degrado nelle strade, i tossici, i notiziari allarmanti, un ragazzino che compra un fucile ad una bancarella per strada e altri che filmano il suicidio di un uomo. Tutto questo accade nei primissimi minuti. Tutto questo è l’introduzione nel sogno chiamato “America”.

Un fallimento etico e morale. La morte del sogno americano e la nascita dell’incubo americano. Beau è spaventato da tutto ciò che lo circonda, e questa paura lo accompagna in ogni situazione in cui è calato, ma non è lui ad essere spaventato, come recita il titolo, sono gli altri ad essere spaventosi. La maggior parte dei personaggi si rivolgono a lui nervosamente, agitatamente, spesso urlando. La sua inettitudine diventa una sorta di difesa nei confronti del mondo. Si trascina e viene spinto prima in strada, poi in una casa, poi in un bosco, e in molti altri luoghi in bilico tra sogno e incubo. Il poliziotto minaccia di sparargli nonostante non stia facendo nulla, il negoziante chiama la polizia nonostante stia pagando, il giovane soldato sacrificatosi in guerra per la patria possedeva poster di gruppi black metal satanisti in camera, l’altro ex militare è tornato alla normalità da nullità e non parla più nessun gergo se non quello della violenza, la sorella è ambiguamente perfida perduta in una rabbia giovanile autodistruttiva, ma il comportamento negativo e aggressivo di questi personaggi, tipicamente e contrariamente statunitensi, nei confronti di Beau non vuole suggerire un’autocommiserazione o un’autoriflessione del protagonista, ma essi sono semplicemente e intrinsecamente cattivi, prodotti della societa americana, la quale seguendo un sogno di miglioramento e progresso, è inciampata in un incubo di decadenza e regresso.

Solo durante lo spettacolo teatrale messo in scena dalla comunita nel bosco, Beau si tranquillizza. Perche sì, nei film di Ari Aster deve sempre esserci una comunita che si avvicina ad una sorta di setta e un bosco che funge da cornice e limite rispetto al resto del mondo (vedi Hereditary, 2018 e Midsommar, 2019). Ma nonostante l’atmosfera pacata, Beau si immedesima nello spettacolo che vuole evocare il percorso di un uomo nella prima America, in una scenografia che sembra mostrare i luoghi vissuti dai coloni, quando trovatasi in un territorio così libero e vasto potevano attuare quella che noi oggi chiamiamo la retorica del “self made man”. Una retorica ingannevole, fallace, illusoria. La ricerca della realizzazione personale e materiale, senza guardarsi dentro, senza analizzarsi e senza comprendere i propri bisogni, ma assumendo una pastiglia, se qualcosa non va, per andare avanti e trovarsi un appezzamento di terra, costruirsi una casa con le proprie mani, fare dei figli, che poi non si potrà vederli per anni perché si verrà accusati ingiustamente da una società che freme per punire e soffocare, invece che parlare e comprendere. Non sa ascoltare, come nella scena finale del processo. Il cinema hollywoodiano classico
è ricolmo di scene in aule di tribunale, ultima possibilita di salvezza dell’eroe, dove puo dimostrare il suo valore, dove il pubblico comprende le sue qualita. Il momento più alto che nel film di Aster diventa un’arena fredda e spietata. Il tavolo diventa una misera barchetta e il pavimento un abisso oscuro, dove l’accusa ha una voce che rimbomba, mentre quella della difesa è così fievole che si spegne. E l’eroe è in realta un antieroe e, in quanto tale, non ha la possibilità di dimostrare nulla, ma è succube e inerme.

Beau is afraid é un film sulla vita e sulla morte. Sui sogni e sugli incubi di ciascuno di noi, che si confondono sempre nei ricordi, soprattutto quelli infantili. “Non era un sogno, era un ricordo” recita la madre di Beau. Ma come possiamo distinguerlo? Passa talmente tanto tempo dall’età infantile che negli anni la mente è così occupata a funzionare superficialmente nel mondo che si dimentica le idee, che si dimentica cosa si volesse diventare, ma grazie a questo film ci si può fermare, a pensare, almeno per tre ore, senza mai distrarsi, alla propria vita. A cosa si era e dove si era, a cosa si è e dove si è, e a cosa si puo essere e dove lo si può essere. All’essenza, quella più pura, quella ancora vergine e integra, non contaminata dalla vita, non sporcata dall’incubo americano, il quale ci tiene imprigionati come un macigno legato al piede e ben saldo nel pavimento di un carcere. Un carcere umano, dove i sogni entrano timidi sottoforma di uno spiraglio di luce, ma che quando alziamo lo sguardo capiamo che proviene dal cielo, non dal mondo degli uomini, che non produce piu luce, ma solo fumo, nero.
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