Babylon: uno sguardo agli albori di Hollywood.
- cinebucolico
- 13 feb 2023
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 21 feb 2023
a cura di Carmen.
Caos, sregolatezza ed eccessi. Questi sono gli aggettivi che meglio potrebbero definire la nuova pellicola di Damien Chazelle “Babylon”. La volontà di Chazelle di raccontare la sua idea di cinema parte dalla necessità di raccontare il cinema in generale: il film nonostante i 189 minuti di durata, tiene alta l’attenzione mostrando allo spettatore una fase del cinema hollywodiano degli anni Venti e Trenta estremamente realistico, composto da macro-sequenze che prese singolarmente possono costituire dei blocchi narrativi autonomi, Babylon viaggia tra la commedia e il dramma, strizzando l’occhio al musical, all’horror, al western e a tutti quei sottogeneri che hanno fatto la storia del cinema; ottenendo così un elogio ad un’arte che si sta affievolendo con l’avvento delle piattaforme streaming. Lo scenario caotico e spettacolare di Babylon ricorda a chi lo guarda ciò che il cinema di quell'epoca è stato: pura attrazione.

La trama si apre con la presentazione di una delle affollate ed eccentriche feste del produttore cinematografico Don Wallach (Jeff Garlin), capo della fittizia Kinoscope, in cui si intrecciano le vite di un gruppo di personaggi-tipo della Hollywood degli anni Venti, la Hollywood del Muto: il divo Jack Conrad (Brad Pitt), la femme fatale Fay Zhu (Li Jun Li), l’aspirante attrice Nellie La Roy (Margot Robbie), il tuttofare Manuel “Manny” Torres (Diego Calva), il trombettista jazz Sidney Palmer (JovanAdepo) e la giornalista di gossip Elinor St. John (Jean Smart).
La prima parte del film si riassume con una serie di elementi fusi insieme in una delirante orgia sinestetica: escrementi di elefante, piano-sequenza danzanti, cocaina a neve e alcol a pioggia, un montaggio al cardiopalma (il sodale Tom Cross), lusso e povertà, cruenti ma comiche morti improvvise, linguaggio altamente scurrile, un tema musicale ossessivo che smuove anche le sedie (altro sodale, Justin Hurwitz), incendi e incidenti, secrezioni (urina, sperma, sangue, saliva), un tripudio di punti di vista e generi (grottesco, drammatico, comico, tragico, thriller).
Il grande successo del primo film sonoro della storia, "Il Cantante Jazz "di Al Johnson per Warner, mette in crisi le altre case di produzione e le costringe ad aggiornarsi in fretta sulla rivoluzionaria tecnologia. Hollywood comincia ad assumere l’aspetto di un’industria e questo porta ad una profonda intolleranza verso gli eccessi del passato (e non solo). Jack, che colleziona mogli e amanti, vede la fama scivolargli via dalle mani. Nellie, diventata per caso una delle ultime dive del muto (per la Kinoscope), ha difficoltà a modificare il suo stile di vita. Nemmeno Manny riesce a stare al passo coi tempi, sebbene sia riuscito a ricoprire il ruolo di produttore esecutivo per Irving Thalberg (Max Minghella) e la MGM. Fay subisce l’omofobia dell’industria così come Sidney il razzismo, invece Elinor sembra l’unica a non avere alcun tipo di effetto collaterale.

Nella seconda parte del film, quella più problematica perché sfilacciata e ridondante fino alla noia, Manny vede il mondo attorno a sé rimpicciolirsi ogni volta che una nuova voce viene registrata su pellicola per il grande schermo. È durante la transizione verso lo studio system, quando Hollywood diventò un’industria (una realtà razionalizzata, fordista, rigida), che il cinema americano ha cominciato ad essere espressione di pochi, a rappresentare una sola categoria di persone (maschi bianchi etero e cisgender), a scambiare la smania di potere per ottimismo, moralismo e rinnovata fiducia nelle istituzioni.
Babylon è il film più ambizioso di Damien Chazelle e il periodo storico scelto dal regista è uno dei più significativi (e crudeli) della storia e il Cinema, che è solito fagocitare sé stesso, ne ha già parlato in due capolavori intramontabili, il noir “Viale del Tramonto” (Billy Wilder, 1950) e il musical “Cantando sotto la pioggia” (Gene Kelly & Stanley Donen, 1952). Entrambi sono linea guida di Babylon e il confronto, com’era da aspettarsi, non può che risultare impari.

La forza motrice di questo film che trascina lo spettatore attraverso generi, toni, situazioni completamente diverse tra loro, risente della sconfinata ambizione e questo desiderio di essere eccessivi, per mostrare “ciò che Hollywood è sempre stata brava a nascondere”, ha dichiarato Chazelle stesso. Il regista gioca con la volgarità, ma spesso questa è gratuita, fine a sé stessa, tesa a ribadire un concetto che si somma a sé stesso senza arricchirsi: il messaggio è sempre lo stesso, urlato forte e chiaro dalla prima all’ultima scena, attraverso i generi, i momenti storici, le varie individualità che la storia accompagna al naturale compimento del loro arco narrativo.

Come aveva proposto già in La la Land, Chazelle costruisce un puzzle con i suoi riferimenti visivi che sfocia, nel finale, in vera e propria videoarte, allontanandosi dalla forma narrativa adottata fino a quel momento e riassumendo il significato più alto e vibrante di Babylon: il cinema è immortale, ci plasma a dei livelli dei quali non siamo coscienti e ci restituisce al mondo diversi, imbevuti di bellezza,prospettive, di immagini, da quelle ormai romantiche in bianco e nero del cinema muto, a quelle poderose di James Cameron su Avatar. I film sopravviveranno a chiunque, a chi li fa, a chi li guarda, a chi li sogna, a chi ne trae guadagno e a chi ne ricava solo struggimento. Babylon racconta l’imperitura fascinazione dell’uomo verso quest’arte e nonostante ci siano alcune pecche che non mi hanno fatto amore questo film al cento per cento, sono contenta di averlo visto e ne consiglio assolutamente la visione.

BABYLON: TRA FELLINI E PASOLINI
a cura di: Marco Speroni.
Babylon (di D. Chazelle, 2022) è capace di sedurre nel degrado. Non vuole esaltare un cinema che non esiste più, ma vuole mostrarne i lati estremi e fanciulleschi. Una Hollywood ancora bambina, infantile, tutt’altro che matura, che con l’approdo al sonoro diventa adolescente, ma allo stesso tempo disillusa. Vuole fare la grande, ma non lo è ancora, come una ragazzina che fuma una sigaretta e tossisce ad ogni tiro. I personaggi sono incoscienti e, proprio per questo, affascinanti. Si muovono fieramente in un mondo che fingono di conoscere ma che in realtà è a loro totalmente ignoto, come estranei sono a loro stessi.
Le atmosfere costantemente in bilico tra sogno e realtà ricordano Fellini, ma sono contrassegnate da un alone di trasgressione trascendentale che cita direttamente Pasolini. Le scene di festa sono faraoniche, circensi, ampollose ma anche estremamente decadenti. Come Fellini ha insegnato al mondo a filmare l’onirico, ad esplorare i confini fra l’arte e la vita, fra la raffinatezza e il grottesco, Chazelle rappresenta un mondo sotterraneo, nascosto ed elitario dove vige l’eccesso, in tutte le sue più selvagge declinazioni. Vuole essere disturbante. Vuole provocare e smuovere il pubblico perché, come per Pasolini, per lui il film è un atto politico. Lo fa senza essere didascalico, ma mostrando un delirio orgiastico incorniciato da vizi, ma soprattutto da sogni. Sogni spesso soffocati dalla macchina di Hollywood che muove i protagonisti come pedine passeggere, effimeri come il fumo delle loro sigarette che manovrano nervosamente come le macchine che guidano, circondati costantemente da altre macchine, quelle da presa.

Solo una di queste però, la principale, riesce a spiare i personaggi pur rimanendo psicologicamente distante. Filma una lacrima in bianco e nero e poi subito un sorriso sornione a colori dopo uno “Stop”.
L’eleganza della messinscena e la sgraziata vita quotidiana. In questo modo lo spettatore perde l’orientamento e non comprende più il confine tra la realtà e la finzione. Il nudo come atto catartico ricorda Pasolini. Solo in alcuni luoghi è concesso esprimersi, evadere. Babilonia è un luogo di nessuno, una città invisibile di Calvino e, come tale, un inferno dionisiaco creato dagli esseri umani più beceri e reietti. Non è una Hollywood mitologica, ma gli albori di una società dell’intrattenimento fatta di poveri, immigrati, criminali, personaggi tipicamente pasoliniani. Ma con un gusto ricercato, sfarzoso, felliniano. Il cinema dell’epoca era considerato volgare peccaminoso al limite del pornografico, ma nello stesso tempo magico.
Chazelle mantiene questo erotismo degradante, ma come Fellini e Pasolini innalza poeticamente personaggi bassi rivendicando la loro libertà di espressione, di istigazione.
Babylon è un film colorato, con tante sfumature di bianco e nero, ma mai smorto o fievole, sempre rosso ardente.

È un film barocco, straripante di emozioni, delusioni, visioni ma soprattutto movimenti dati dall’energia sprigionata dal sottosuolo, dai meandri più remoti dell’esistenza. Solo nascondendosi è possibile esplodere. Come il cinema muto che rappresenta è incentrato sul movimento dei corpi e della macchina da presa, sempre armonicamente equilibrati.
Fellini e Pasolini non imboccavano lo spettatore, ma lo affrontavano.
Allo stesso modo Chazelle si pone lo scopo di scuotere lo spettatore, di far sì che il film lo inglobi per poi risputarlo fuori, dopo più di tre ore, cambiato, mangiucchiato e criticamente traballante. I due maestri italiani mostravano il bestiale e il sopraffino, la libertà apparente e la prigionia psicologica, la sregolatezza sfrenata e l’eleganza distinta.

Conscio di questa lezione, Chazelle riesce nell’impresa di narrare come nasce, cresce e muore la spinta vitale dei sognatori e, come loro, lo fa semplicemente lasciandosi trasportare in questo viaggio chiassoso, disturbante, ma inspiegabilmente intrigante. Non a caso il film termina in una sala cinematografica, il personaggio osserva lo schermo, che diventa buio. Le luci si accendono in sala. Anche il reale spettatore sta osservando uno schermo ora buio. È davvero finito? Mi ha accompagnato per mano e mi ha colpito vigorosamente. Mi ha affascinato e mi ha disgustato. È immaginazione e realtà. È l’arte di Fellini e la politica di Pasolini.
Comments