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Come il cinema racconta il museo

  • Immagine del redattore: cinebucolico
    cinebucolico
  • 25 nov 2022
  • Tempo di lettura: 8 min

Aggiornamento: 28 nov 2022

a cura di: Nicolò Forcieri.


Quando si tratta di narrare un avvenimento, un luogo o la vita di una persona realmente esistita, spesso ci si affida al documentario. Per sua natura il documentario propone un dialogo basato su documenti, interviste dirette, citazioni, materiale d’archivio; di contro, il film si basa sulla finzione. La storia è finta, i personaggi sono finti, pure i luoghi possono essere finti. Esistono dei generi che tengono, mi si passi il modo di dire, il piede in due scarpe: biopic, docufilm e mocumentario; anche se l’ultimo citato prende la forma del documentario per imbastire delle storie di finzione, contrariamente al biopic che usa la finzione filmica per parlare di eventi reali. Quindi come scegliere che cosa realizzare per parlare di arte? Ma soprattutto, perché parlare di arte?

Proverò a rispondere prima ad una domanda e successivamente all'altra.

Anzitutto è bene ricordare che il Cinema è la settima arte, ed è bene ricordarlo perché spesso si tende a dimenticarlo ed a relegare il film come mera forma di intrattenimento e se proprio uno volesse farsi una cultura: si guarda un documentario. Vero è che il museo è un luogo che spesso viene usato come scenografia o al più come al Museo di Shawn Levy.

Pretesto narrativo per citare alcuni esempi: in Bande à part di Godard i protagonisti scorrazzano fra le sale del Louvre di Parigi (scena che verrà riproposta anche da Bertolucci in The Dreamers); in "Skyfall" di Sam Mendes i protagonisti si incontrano alla National Gallery di Londra; ne Le vacanze intelligenti (episodio del film collettivo "Dove vai in vacanza?") Alberto Sordi visita La Biennale di Venezia insieme alla moglie, creando una narrazione comica e fatta di luoghi comuni sulle opere esposte; ne "La donna che visse due volte" di Hitchcock, James Stewart incontra Kim Novak al California Palace of the Legion of Honor e qui, vedendo il ritratto di Carlotta Valdez, al protagonista diventa sempre più chiaro l’inganno che l’amata ha messo in atto. centrale nella storia. Andiamo per gradi. Parlando di fiction mi vengono in mente due esempi molto lontani fra loro: "Viaggio in Italia" di Roberto Rossellini e la serie di film "Una notte".


La lista potrebbe andare avanti all'infinito ma non mi sembra il caso, vorrei invece parlare di chi, il museo, lo sfrutta in maniera, secondo me, più intelligente. Chi non lo banalizza come “bella scenografia” o pretesto narrativo, ma lo rende in "Viaggio in Italia" coesistono due storie una è il rapporto fra i protagonisti Katherine e Alex, rispettivamente interpretati da Ingrid Bergman e George Sanders, l’altra è la scoperta di Napoli attraverso le persone del luogo. Con la scusa dell’amico scomparso che aveva dedicato tante poesie alla città, Katherine decide di visitare i luoghi citati nelle poesie; in quei momenti noi siamo Katherine, noi siamo gli spettatori che comodamente seduti vedono opere d’arte e monumenti d’interesse raccontati da guide e gente del luogo. Rossellini ci accompagna alla scoperta del Museo Archeologico di Napoli, ci mostra i dipinti di Filippo Palizzi,il cimitero di Fontanelle e le solfatare di Pozzuoli; il tutto in maniera coerente, o diegetica per dirla usando il gergo cinematografico, con la narrazione. All'interno del Museo la videocamera si muove, mostrandoci le opere da lontano ed avvicinandosi per rivelare dettagli che altrimenti sarebbero difficili da vedere, si muove intorno alle sculture, carrelli e gru ci concedono un punto di vista privilegiato persino rispetto ad Ingrid Bergman che, contrariamente a noi, difficilmente riuscirà a notare i dettagli del volto dell’Ercole Farnese.

La serie di film Una notte al Museo di Shawn Levy hanno il grande pregio, nella loro semplicità, di insegnare la bellezza e l’importanza dei musei ai più piccoli. Le storie di avventura ed azione che si svolgono all'interno del Museo di Storia Naturale di New York, allo Smithsonian Museum di Washington ed al British Museum di Londra, vedono al fianco del protagonista Larry, interpretato da Ben Stiller, una serie di personaggi illustri ed animali dei quali vengono descritti la storia. Come in Viaggio in Italia, il Museo non è solo un pretesto narrativo ma suscita interesse e curiosità, alla fine del film lo spettatore più piccino, ma anche l’adulto, vorrà andare a vedere dal vivo i personaggi che ha visto al cinema e documentarsi su di loro, che sia Theodore Roosevelt, un cercopiteco o il T-Rex. Il sito del Museo di Storia Naturale di New York ha dedicato una pagina al self-tour dedicato alle sale mostrate nel film (https://www.amnh.org/plan-your-visit/self-guided-tours/night-at-the-museum) ed i dati delle vendite dei biglietti mostrano una vendita del 20% maggiore durante le vacanze di Natale dopo l’uscita del film rispetto all'anno precedente (https://www.nbcnews.com/id/wbna16549060).


Nuovamente una storia di finzione che ha il pregio di insegnare qualcosa. Ma ancora siamo nella finzione più totale, quindi facciamo un ulteriore passo avanti, parliamo di Akira Kurosawa. Ricordato per i film sui samurai che hanno ispirato i western di Leone, nel 1990 l’autore nipponico decide di realizzare un film episodico su dei sogni che ha avuto: Sogni. Nell'episodio Corvi il protagonista, alter ego dello stesso Kurosawa, sta ammirando alcuni quadri di Vincent Van Gogh quando si sofferma a vedere un dipinto della serie Il ponte di Langlois. All'improvviso il protagonista si ritrova sulla riva del Rodano vicino a delle donne che stanno lavando i panni nel fiume. Al protagonista viene indicato dove si trovi Van Gogh, interpretato da Martin Scorsese, e quando i due si incontrano nasce uno scambio di battute finché il pittore non deve allontanarsi per dipingere. Il protagonista/Kurosawa allora lo insegue trovandosi a camminare all'interno dei quadri del pittore e finendo davanti al campo di grano sul quale i corvi voleranno segnando la fine del viaggio del protagonista ma anche dello stesso Van Gogh. Kurosawa ci immerge nella pittura riproducendo dal vero il ponte di Langlois e cercando dei paesaggi che quanto più potessero assomigliare ai dipinti dell’artista di Zundert, per poi spingersi oltre ed utilizzare il green screen per far muovere l’attore all’interno dei quadri reali. In questo caso non c’è niente che ci suggerisca che siamo in presenza di qualcosa di reale.

Vincent Van Gogh morì prima che Kurosawa nascesse ed il realismo magico di cui è permeato l’episodio ci fanno capire che la realtà è da un’altra parte; come se il titolo della pellicola non fosse abbastanza per sottolineare l’illusorietà dell’opera. Però qualcosa di vero c’è e sono i quadri di Van Gogh che possiamo ammirare, come nel caso dell’Ettore Farnese. Nei loro più minimi dettagli dato l’ingrandimento dello schermo del cinema. Nonostante Francesco Bonami non sia d’accordo con gli ingrandimenti fuori scale delle opere, bisogna riconoscere che il risultato sia suggestivo. Ma "Corvi", per quanto possa essere una storia interessante con un pregevole impiego dei mezzi tecnologici, non racconta niente su Van Gogh o il museo nel quale il protagonista si trova all'inizio o alla fine della storia, tant'è che nemmeno viene descritto o citato. E allora come fare per raccontare un luogo? Per descriverne la storia, il passato ed il futuro? Per mostrarci quello che è successo e chi quel posto lo ha abitato? Queste domande trovano risposta in due film di Aleksandr Sokurov: Arca Russa del 2002 e Francofonia del 2015.

Nel 2002 Sokurov compie un mezzo miracolo dal punto di vista tecnico. Tramite l’impiego di una videocamera digitale, la Sony HDW-F900, montata su una steadicam e che poteva registrare fino a 100 minuti di filmato non compresso su un Hard Disk. Il film dura 95 minuti titoli di testa e coda compresi. Sokurov riesce a fare ciò che Alfred Hitchcock non era riuscito a fare, per impedimenti tecnici, con "Nodo alla gola". Tralasciando altre questioni meramente tecniche, come l’illuminazione, i movimenti delle comparse e l’abbondante utilizzo dello zoom della videocamera, il film vuole raccontare la storia del Palazzo d’Inverno e delle famiglie reali nelle diverse epoche. Sokurov è regista e protagonista/narratore del film. Fingendosi un uomo che viaggia nel tempo, accompagna “lo straniero”, il marchese Astolfo di Custine interpretato da Sergei Dont-sov, per le sale del palazzo reale. Fra i vari personaggi che ci vengono mostrati troviamo Pietro il Grande, Caterina II, Nicola I, Nicola II e le sue figlie, la ballerina Alla Osipenko, il dottore Oleg Konstantinovich Khmelnitsky e persino il direttore del Museo dell’Hermitage Mikhail Piotrovsky.


Muovendoci di sala in sala troviamo il dietro le quinte di uno spettacolo teatrale, banchetti, celebrazioni ma anche la morte ed il gelo che le guerre del ‘900 hanno portato dentro al palazzo, e persino il museo dell’Hermitage al giorno d’oggi (anche se “l’oggi” del film sono comunque vent’anni fa). Quello che viene presentata è la memoria che le mura del palazzo conservano silenziosamente. Ma il messaggio più importante che il regista vuole mandare è nel titolo che viene svelato nel finale del film: il palazzo è un’Arca che naviga perpetuamente nel mare. Sokurov paragona le persone ed il palazzo all’Arca di Noè, tutto ciò che contiene deve sopravvivere per permettere alla società di progredire; i beni e le memorie contenute all’interno non devono inabissarsi o altrimenti noi andremo a picco con loro, dovremmo rifare tutto da capo ripercorrendo, ahimè, anche gli stessi errori.

Sokurov torna a raccontare l’importanza del museo con il film Francofonia.

Seppure il contenuto è simile, lo stile non potrebbe essere più diverso. Il film è composto da parti di messa in scena di pura finzione (quelle di Napoleone e Marianne), inquadrature di Sokurov nella sua stanza mentre cerca di mettersi in contatto con un marinaio ripreso dalle telecamere di sicurez- za della nave, ricostruzioni di fatti reali (gli incontro fra Jacques Jaujard e Franz Wolff-Metternich), filmati di repertorio della Francia e della Russia durante la seconda guerra mondiale, fotografie e dipinti che vengono animati, grafica (come la colonna sonora che compare in determinate scene), viraggi di colore. Una regia assolutamente barocca. Come dicevo, i due film presi in esame hanno un contenuto similare. Il protagonista del film in questo caso è il museo del Louvre, più precisamente durante l’occupazione nazista, e di come l’allora direttore del museo Jaujard riuscì a salvare le ope- re del museo grazie all’aiuto del generale Wolff-Metternich, anche se forse sarebbe più opportuno dire il contrario. Credo ci sia un filo sottile che collega il gerarca nazista col titolo dellìopera. La francofonia è la capacità di parlare francese e Wolff-Metternich si presenta a Jaujard parlando proprio in francese, quasi senza pretendere che il direttore del museo parli in tedesco. Questo fa sì che il tedesco appaia in una posizione di rispetto nei confronti del francese, ma la vera intesa fra i due nasce quando capiscono che il vero “linguaggio” che li accomuna è quello dell’arte e della sua salvaguardia. Dopotutto, l’intento del film è chiaro da subito e Sokurov torna a ripeterlo più volte ponendo degli interrogativi allo spettatore: “Chi vorrebbe una Francia senza Louvre? O una Russia senza Hermitage? Chi saremmo noi senza i musei?” e ancora “Chi sarei stato, se non avessi potuto vedere gli occhi di coloro che vissero?".

Addirittura Napoleone arriva a chiedere, in maniera retorica, perché avrebbe fatto la guerra se non per l’arte. L’importanza storica e culturale dell’arte è il fulcro del film, trascende la lingua e la politi- ca. Ci formiamo sapendo ciò che ci ha preceduto e vediamo quel che è stato negli occhi dei ritratti. Empatizziamo con I mangiatori di patate di Van Gogh e coi naufraghi de La zattera della Medusa di Géricault, siamo in soggezione vedendo i volti austeri di papi e re e ci incantiamo di fronte ad un paesaggio pensando a come sia cambiato quel luogo. Siamo talmente tanto trasportati dal senso del film che proviamo timore di fronte alle immagini della nave che trasporta opere d’arte in balia delle onde. Quindi perché inserire il museo e l’arte all’interno del proprio film?

Perché siamo curiosi per natura, non possiamo sottrarci a questo nostro istinto; per acculturarci; per riflettere; per discutere; per crearne di nuova. Sono numerose le motivazioni per trattare l’argomento, ma la scelta della forma fiction al posto di quella del documentario, secondo me, è per arrivare al più vasto pubblico possibile, perché l’arte è una materia seria ma alla portata di tutti, ed è importante ricordare allo spettatore che è il mezzo a nostra disposizione per poter progredire senza averne paura come qualcosa di troppo elevato e incomprensibile. Ma anche per ricordarci di quanta bellezza ci sia intorno a noi.


Sitografia:

https://www.amnh.org/plan-your-visit/self-guided-tours/night-at-the-museum ultima consultazione 7/2/2022

https://www.nbcnews.com/id/wbna16549060 ultima consultazione 7/2/2022


Filmografia:

Skyfall, Sam Mandes, 2012

La donna che visse due volte, Alfred Hitchcock,1958 Nodo alla gola, Alfred Hitchcock, 1948

Bande à part, Jean-Luc Godard, 1964 The Dreamers, Bernardo Bertolucci, 2003

Dove vai in vacanza?, Mauro Bolognini, Luciano Salce, Alberto Sordi, 1978 Viaggio in Italia, Roberto Rossellini, 1954

Una notte al museo, Shawn Levy, 2006

Una notte al museo 2 - La fuga, Shawn Levy, 2009

Notte al museo - Il segreto del faraone, Shawn Levy, 2014 Sogni, Akira Kurosawa, 1990

Arca Russa, Aleksandr Sokurov, 2002 Francofonia, Aleksandr Sokurov, 2015


Bibliografia:

L’arte nel cesso, Francesco Bonami, Mondadori, 2019 Il cinema e le arti visive, Antonio Costa, Einaudi, 2002 Saper vedere il cinema, Antonio Costa, Bompiani, 2018

L’avventura del cinematografo, Sandro Bernardi, Marsilio, 2007

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