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I fiori del muto

  • Immagine del redattore: cinebucolico
    cinebucolico
  • 20 feb 2023
  • Tempo di lettura: 13 min

Aggiornamento: 21 feb 2023

A cura di Chiara Musicò

Lyda Borelli


In Italia, negli anni Dieci, fiorisce il fenomeno cinematografico delle Dive del muto. Queste incredibili donne, profondamente legate a quella tradizione teatrale Ottocentesca denominata “Teatro dei Grandi attori”, sono protagoniste di un periodo intenso ma breve: il loro tempo sorge tanto velocemente quanto rapidamente appassisce. Le cause individuate da Cristina Jandelli in Le dive Italiane del Cinema Muto[i] sono diverse. L’autrice non si accontenta di prendere per buona l’ipotesi che solo la crisi del cinema muto degli anni 20 e gli alti costi dell’ingaggio delle Dive abbiamo determinato la rapida fine dell’era del divismo femminile, ma aggiunge anche delle considerazioni di natura biografica: per tutte, la fine della carriera coincide con il matrimonio.


«Le loro storie mi apparivano coerenti in una sorta di racconto che esclude per ragioni anagrafiche Eleonora Duse, luminoso punto di contatto fra il teatro dell’ultimo Ottocento e il primo cinema italiano ma la ricomprende nell’ottica del generale eclissamento di queste presenze femminili fra anni Dieci e Venti. Nel rapido volgere di un decennio le attrici nate negli anni Ottanta dell’Ottocento si ritirarono a vita privata rinchiudendosi nei loro salotti dannunziani che avevano fatto da sfondo alle loro avventure finzionali[ii]».


Jandelli sottolinea inoltre la necessità di «Inscrivere queste carriere eccezionali» nel contesto storico fascista «con la sua ideologia del ritorno all’ordine» e nel periodo del dopoguerra attanagliato dal «collasso economico»[iii].


Oltre ai punti suddetti, le Dive hanno in comune anche la propensione al ruolo autorale e l’arguzia di plasmare un’immagine divistica forte e curata in tutti i dettagli, costruita seguendo le orme di quelle che nella seconda metà dell’800 sono le più celebri attrici del Teatro di Prosa.

Le personalità di cui andrò a scrivere, infatti, prima di lanciarsi nell’avventura cinematografica, nascono come attrici teatrali e dal loro stesso mondo rubano “il modello dell’impresariato artistico[iv]”:


«Lyda Borelli a teatro fu capocomica, Francesca Bertini e Diana Karenne dettero il proprio nome a case di produzione, divennero cioè un marchio di fabbrica, la stessa Eleonora Duse partecipò all’impresa produttiva del suo unico film[v]».


Jandelli mette in chiaro anche che, nella progettazione della propria immagine, queste attrici sensazionali danno vita ad un sistema divistico le cui caratteristiche saranno riprese anche «nello star system hollywoodiano degli anni Venti (forte tipizzazione, centralità narrativa, influenze sulla moda e sul costume)[vi]». Borelli, per esempio, arriva a originare addirittura un un fenomeno sociale: le ragazze imitano le sue pose e i suoi atteggiamenti languidi, “borelleggiando” per le strade. Anche le fan di Bertini e Menichelli, “bertineggiando” e “menichelleggiando”, sono indice dell’immensa influenza che queste personalità riescono ad esercitare sulle loro spettatrici. Oltre all’atteggiamento, le fan imitano anche il vestiario e modificano il proprio aspetto fisico per somigliare alle loro beniamine: il corpo magro e flessuoso di Menichelli, ad esempio, diviene canone di bellezza per le ammiratrici, che tentano di emularlo e insieme cercano di riprodurre sui propri volti l’aspetto pallido e il trucco di Pina. Le Dive-influencer stregano anche il pubblico maschile: migliaia di telegrammi, lettere d’amore, poesie, dichiarazioni riempiono ogni giorno le caselle postali delle attrici.


Si è detto che le Dive si ispirano al teatro ottocentesco dei grandi attori dal punto di vista della gestione dell’immagine divistica, ma non solo. Occorre precisare che c’è un altro fil rouge che lega le dive del muto al teatro Ottocentesco.


È noto che, questo tipo di teatro, nasce e cresce con un’ottica “industriale”: lo scopo per cui le opere vengono alla luce è quello di creare un prodotto che generi una rendita cospicua. Il principio è concepire spettacoli, come si suol dire, con minimo sforzo e massima resa: la produzione è quindi costante e rapida. Perché “Del Grande Attore”? Il motivo è semplice: per far funzionare questo tipo di prodotto, l’unica possibilità è quella puntare sull’abilità e la fama di un attore celeberrimo, facendo ruotare tutto intorno alla sua figura. Ecco che, grazie a questo sistema, nasce una generazione detta dei “Grandi Attori”, di cui fanno parte personalità come Tommaso Salvini, Adelaide Ristori, Eleonora Duse. Un’altra delle strategie per garantire la buona resa dello spettacolo è il sistema dei ruoli: nella compagnia, ad ogni membro è assegnato un personaggio a seconda del grado di esperienza, di anzianità, di specializzazione. Grazie al sistema dei ruoli, l’attore è già a conoscenza di come il ruolo dovrà essere interpretato e ha come unica preoccupazione quella di imparare il testo, che in caso di vuoti di memoria verrà sussurrato dal suggeritore. Ogni personaggio rispecchia una tipo, o categoria umana, che risponde a una serie di caratteristiche: il primo attore e la prima attrice sono specializzati nei ruoli da protagonisti, il caratterista interpreta ruoli comici…ma il ruolo che interessa di più nel caso delle protagoniste di questo articolo è quello della “seconda donna”: è da questo personaggio che le Dive traggono la loro origine. In una posizione gerarchica inferiore rispetto a quello della prima donna, della quale è di solito la rivale in amore, la seconda donna spesso incarna la figura dell'amante ed è contraddistinta da un fascino irresistibile. In teatro tende ad indossare abiti scollati ed è dotata di una corporatura formosa e avvenente. Subdola, calcolatrice, non si fa scrupolo ad addentrarsi nella selva dell'adulterio e a trascinarvi anche le sue povere vittime: gli uomini.


Queste donne mirabili, però, proprio per il loro carattere trasgressivo e fuori dai canoni morali non godono di una forte eco nel mondo giornalistico:


«Alla produzione degli anni Dieci manca invece un’efficace costruzione mediatica della figura pubblica della diva: la stampa a larga diffusione, medium prioritario dell’epoca, in Italia non intende sostenere una produzione come quella cinematografica non ancora legittimata a livello culturale e tantomeno si cura di blandire queste donne sospette di amoralità. Solo interrogando le notizie e gli articoli pubblicati delle riviste di cinema si può trovare testimonianza indiretta dei fenomeni di passione collettiva che le dive suscitarono nei contemporanei. «Francesca Bertini, Lyda Borelli, Leda Gys, Soava Gallone potevano camminare per strada senza essere assalite da turbe di gente scatenata», scrive Giulio Cesare Castello. «Ci si contentava di andare a vederle sullo schermo. I giornali le ignoravano. Solo le riviste di cinema pubblicavano le loro fotografie ma a pagamento»[vii]».


Per contro, le fotografie diventano uno dei mezzi fondamentali per ricostruire il fenomeno divistico degli anni Dieci:


«nelle loro specifiche forme comunicative - dal libretto di sala realizzato sul modello teatrale per le fastose première alla cartolina da collezione autografata -, diffondono l’immagine della diva con enorme capillarità in Italia e fuori dai suoi confini: si tratta di strumenti di costruzione divistica in grado di mettere in relazione i testi filmici con l’immagine pubblica della donna. Dai fotoritratti delle dive del cinematografo degli anni Dieci si sprigiona un magnetismo allarmante. Le dive escono dall’ombra, la pelle luminescente, levigata, argentea. Gli occhi scintillano, enormi. L’espressione è altera per effetto dello sguardo e del mento, sempre leggermente sollevato. Le dive sfidano chi le osserva. Incarnano la seduzione del cinema[viii]».


Queste “Foto-santino” si diffondono viralmente e sono costruite con cura maniacale proprio dalle dive stesse le quali, oltre a gestire in prima persona questo lato della propria immagine, esercitano anche altre forme di controllo dal punto di vista produttivo, gestionale, organizzativo sui prodotti cinematografici che le coinvolgono. Le Dive, infatti, si guardano bene dall’affiancarsi di collaboratori sbagliati e attuano un’attenta revisione dei soggetti che non provengono dalla propria penna. Donne poliedriche e talentuose, arrivano ad occuparsi anche della regia dei propri film, scavalcando completamente l’autorità dei produttori.


Ma chi sono, queste Dive?


È tempo di conoscere quelle a cui Jandelli dedica maggiore attenzione: Lyda Borelli, Pina Menichelli, Francesca Bertini, Diana Karenne, Eleonora Duse.




Lyda Borelli


Lyda Borelli


Lyda Borelli nasce a La Spezia il 22 marzo 1887 e muore a Roma il 2 giugno 1959. La sua famiglia è già radicata nel mondo dell’arte: Il padre Napoleone e la madre Cesira Banti sono attori, come pure lo sarà la sorella Ada. Anche Lyda intraprende una carriera nel teatro, che le farà incontrare Eleonora Duse, la più celebre attrice del tempo: recitano insieme in Fernanda di Victorien Sardou a Firenze nell’ottobre 1905. La sua carriera teatrale decolla e culmina nel 1912, quando passa alla Compagnia Gandusio-Borelli-Piperno diretta da Flavio Andò ed è considerata una vera e propria star.


Nel 1913 si affaccia al mondo del cinematografo interpretando Elsa Holbein in Ma l’amor mio non muore! Di Mario Caserini, accanto a Mario Bonnard. Recita in film come La falena e Malombra di Carmine Gallone, Rapsodia satanica di Nino Oxilia e Carnevalesca di Amleto Palermi.


L’ultima pellicola in cui la si vede è il film di propaganda commissionato dal ministero delle Armi e Munizioni La leggenda di Santa Barbara del 1918. In questo stesso anno l’attrice sposa a Gavorrano, in provincia di Grosseto, il conte Vittorio Cini di Ferrara, ritirandosi dal teatro e dal cinema.


La maggior parte dei suoi film non sono altro che trasposizioni cinematografiche dei successi teatrali, ma è fondamentale ricordare che «Il “diva film” nasce con Lyda Borelli[ix]» afferma Cristina Jandelli «È lei, nel 1913, a inaugurare il genere con Ma l’amor mio non muore! che segna il passaggio al cinema dell’acclamata primadonna del teatro di prosa italiano[x]». La sua recitazione


«è personalissima declinazione del simbolismo dalle venature pre-espressioniste ma anche “maniera” teatrale ben definita: la sua appartenenza alla generazione dei mattatori della scena di prosa certifica questo lascito stilistico nella sua recitazione meditativa, assorta e posatrice ma anche caricata, sovresposta, esplosiva[xi]»


È singolare anche l’uso che Borelli fa del primo piano: esso è servo della sua energia, tramite con cui instaura una relazione diretta con chi guarda. Borelli esibisce la propria spiritualità tramite il proprio corpo, e ci riesce divinamente.



Pina Menichelli


Pina Menichelli


Pina Menichelli, all'anagrafe Giuseppa Iolanda Menichelli, nasce a Castroreale, 10 gennaio 1890 e ci lascia a Milano il 29 agosto 1984. I genitori sono una coppia di dialettali siciliani e ciò la porterà ad avvicinarsi al mondo del teatro. Il primo ruolo che ottiene, nel 1907, è quello di "giovane amorosa" nella compagnia teatrale di Irma Gramatica.


Nel suo primo film per la Cines, pellicola storica, vestita da tamburino fissa con intensamente e insistentemente la macchina da presa. In questa occasione, conosce il regista Giovanni Pastrone, che le offrirà un ruolo da protagonista in Il Fuoco nel 1915 e in Tigre Reale, i capisaldi della sua carriera. I suoi altri film – Storia di una donna (1920), Il padrone delle ferriere (1919) e Il romanzo di un giovane povero (1921) – non avranno lo stesso successo.


I tratti oscuri della seconda donna - ad eccezione della formosità che, nel caso di Menichelli, si trasforma in magrezza e sinuosità - assumono in Pina delle caratteristiche quasi animalesche, sfruttando anche la conformazione del viso della donna: il naso aquilino, unito al copricapo e alla mantella, il trucco che le scurisce molto la zona intorno agli occhi, le dita utilizzate a mo' di artigli, il passo felpato da predatrice, l'alta frequenza con cui sbatte le palpebre, il modo in cui incurva la schiena, il suo aprire le braccia come se fossero ali, avvicinano la sua immagine a quella di un rapace notturno. Jandelli parla di «un’originale declinazione visiva della figura femminile zoomorfa[xii]» che riprende tutta una serie di iconografie, fonti letterarie di stampo ottocentesco unitamente a elementi culturali, mitici e simbolici. «Una figura affine a quella di Lilith, a quella della Chimera, dell’Arpia e della Strige, uccello notturno che succhia il sangue degli infanti[xiii]» Menichelli è così circondata da un'aura bestiale ma al contempo femminile. Una Femme fatale che sarà di grande ispirazione per molte attrici degli anni successivi.


Nel 1909 Menichelli si sposa con il napoletano Libero Pica, con cui ha due figli. I due si separeranno qualche anno dopo e Pina intreccerà una relazione con Carlo Amato, che sposerà nel 1930, cinque anni dopo essersi ritirata dalle scene – abbandonate nel 1924, a poco più di trent'anni. «l’immagine divistica è quella di una donna soggiogante, tenebrosa, rapace, peccatrice, vendicatrice, ferina[xii]», sottolinea Jandelli.



Francesca Bertini


Francesca Bertini


Francesca Bertini, pseudonimo di Elena Seracini Vitiello, nasce a Prato il 5 gennaio 1892. Figlia di un’attrice toscana, Bertini viene adottata da un trovarobe di Napoli, dove si trasferisce e inizia recitare: debutta nella compagnia dialettale di Eduardo Scarpetta, il quale le trova il nuovo nome. Nel 1915 è già la incredibilmente famosa, tanto che è proprio per lei che viene coniato l'epiteto di "diva", di cui è la massima espressione. Viene contesa dai produttori e idolatrata dal pubblico.


Il ruolo da protagonista in Assunta Spina (1915) di Gustavo Serena le permette di mettere in mostra le sue abilità espressive. Al cinema recita in L'histoire d'un Pierrot (1913), La signora delle camelie (1915), Fedora (1916), Don Pietro Caruso (1917), Tosca (1918), la serie de I sette peccati capitali (1919-20). Nel 1921 si sposa con il conte Paul Cartier e torna sporadicamente sullo schermo. Arriva a rifiutare anche l’offerta di William Fox di incoronarla "regina" di Hollywood.


Ritorna a recitare anni dopo in Spagna, dove appare nel film Dora, la espia (1943) di Raffaele Matarazzo. Nel 76 Bernardo Bertolucci la sceglie per interpretare la parte di una suora in Novecento. Infine, nel 1982, concede una lunga intervista a Gianfranco Mingozzi per L'ultima diva, in cui racconta la sua carriera e la sua vita. Famosa è la sua tendenza a raccontare il suo vissuto come se fosse un’opera d’arte: poco delle sue biografie corriponde alla realtà, nel tentativo di trasformare il reale mitizzandolo e convertendolo in qualcosa di aderente alla propria immagine. La diva e la donna si sovrappongono e divengono un tutt’uno.


La sua recitazione misurata e “realistica”, come la definisce Jandelli, entra in contrasto con il repertorio ottocentesco e con la sua tendenza a teatralizzare la recitazione cinematografica di fronte all’occhio della macchina da presa.



Diane Karenne


Diane Karenne


Diane Karenne, pseudonimo di Leukadia Konstantin, nasce nel 1888 a Danzica. Inagura la sua carriera nel 1914m, a Torino, con una scrittura da generica presso la Roma Film. Ottiene in seguito una parte secondaria in Karval lo spione (Aquila Film, 1916). Stringe un sodalizio con Pasquali, con cui lavora per la prima volta in Passione tzigana (Ernesto Maria Pasquali, 1916).


Nel 1917 fonda la David-Karenne Film - poi semplicemente Karenne Film-, con la collaborazione del fratello David: con questa casa di produzione, dirige e interpreta in maniera indipendente diversi film, tra cui Pierrot, di cui disegna anche i materiali pubblicitari, che verranno pubblicati dalla rivista «In Penombra». Jandelli evidenzia come Karenne sia «l’unica, autentica diva autrice del cinema italiano: interpreta, sceneggia, dirige e produce in proprio i suoi film».


La sua carriera è ricca di lavori e la sua fama raggiunge anche l’estero. Recita nel suo ultimo film è La vena d’oro ( Gugliemo Zorzi, 1929), seguito da un’apparizione in Manon Lescaut (Carmine Gallone, 1939), per poi ritirarsi a vivere con il marito tedesco ad Acquisgrana, in Germania, nel 1940 muore per le ferite riportate durante un bombardamento di guerra.


Nel caso di Karenne “l’equazione Diva=Artista” tipica del fenomeno divistico femminile trova grande espressione:


«In lei l’immagine di donna fatale si lega a quella di intellettuale e artista: sono documentati i suoi rapporti con il futurismo e i suoi disegni mostrano inequivocabile il segno delle avanguardie tedesche[xiv]».


Per quanto riguarda il suo stile di recitazione, Jandelli annota che


«Come interprete si mostra particolarmente misurata e incline alla stilizzazione espressiva, secondo il nuovo stile di recitazione che in Italia verrà successivamente identificato con l’arte scenica di Tatiana Pavlova[xv]».


Di Karenne ci è rimasto molto poco e purtroppo i film diretti da lei sono andati tutti perduti.



Eleonora Duse


Eleonora Duse


Ma perché Eleonora Duse?


Eleonora Duse nasce nel 1858 a Vigevano. Figlia di una coppia di attori girovaghi, Alessandro e Angelica Cappelletto, inizia a recitare a poco più di cinque anni e passa un’infanzia nomade. Il padre le insegna a leggere e scrivere e la madre a rammendare. Quando Angelica si ammala, Eleonora la sostituisce nei ruoli teatrali più importanti.


Alla morte della madre, la ragazza e il padre migrano da una compagnia all'altra, fino ad entrare nella compagnia di Cesare Rossi. Nel 1880 Eleonora rimane incinta, ma continua a recitare fino al nono mese. Partorisce a Marina di Pisa, dando alla vita un figlio che morirà poco dopo - di questo evento rimangono poche tracce, su Treccani sono riportate alcune fonti che ricostruiscono l'accaduto. Ritornata nella compagnia di Rossi a Torino, nel 1881 assume il ruolo di "prima donna". Nel 1882 ha una figlia con il collega Tebaldo Checchi, con cui si sposerà quattro mesi dopo. La sua immagine divistica prende forma: il nuovo marito le fa da manager e gestisce le interazioni di Eleonora con i giornalisti e uomini di cultura


«dando spazio, così ad una doppia maldicenza: che la fama della moglie fosse dovuta al suo brigare o che lui vivesse alle spalle d'una grande attrice[xvi]».

Duse inizia a distaccarsi dai canoni teatrali del tempo e a portare in scena un tipo di recitazione differente: riduce all’osso la scenografia, abbandona il trucco e calca la mano sulle espressioni del viso e la ritmica. Fonderà poi la propria la Compagnia della Città di Roma in società con Flavio Andò. La sua carriera prende il volo e le da l’opportunità di incontrare molti intellettuali e letterati.


Si innamora di D’annunzio e intraprende con lui una lunga storia d’amore. Dopo aver assistito ad alcune delle proiezioni del cinematografo, si avvicina alla settima musa, fino a desiderare di esplorarla a fondo: nel 1916 interpreta una madre anziana e stanca in Cenere di Febo Mari.


Il film, tratto dal romanzo di Grazia Deledda, innalza così Duse ai fasti di diva del muto. I motivi sono diversi: innanzitutto, Cenere riprende alcuni motivi comuni a tutti i film del periodo, come la morte della diva – che, però, in questo caso, avviene fuori scena – e l’apparizione tardiva dell’attrice – preannunciata trionfalmente dai titoli di testa; inoltre Eleonora è una vera a propria star nel mondo del teatro, conosciuta da un pubblico enorme e ammirata da tutti, vantando un’immagine divistica ben strutturata e radicata. Jandelli, in proposito, afferma che

«Eleonora Duse è il perno su cui ruota il divismo cinematografico italiano degli anni Dieci: la sua figura è il crocevia delle tensioni artistiche che animano le attrici italiane, ma la Duse andrebbe piuttosto definita un’autorità morale e un modello a cui, per motivi diversi, non possono sottrarsi le giovani dive coetanee di Chaplin. Cenere di Febo Mari (1916), l’unico film interpretato dalla Duse, solitario e luminoso esempio di cinema d’arte, va quindi ricollocato nel ruolo che gli spetta cioè posto all’apice della breve parabola disegnata in Italia dal “diva film”. Cenere rappresenta il voto di povertà che la massima gloria del teatro italiano pronuncia davanti al pubblico negli anni del conflitto, quando il clima bellico le renderà odioso fare spettacolo come se nulla fosse accaduto: costringe gli spettatori affamati di evasione a guardare dentro il dramma della maternità e intanto allude alle madri di guerra rassicurandole circa la provvida grandezza del loro sacrificio. Il pubblico non capirà e lei, dopo l’insuccesso, si ritirerà in disparte ma anche in seguito il film le apparirà una tappa fondamentale del suo cammino artistico. Lo proseguirà tornando a teatro nel 1921 ne La donna del mare di Ibsen che stava già provvedendo a ridurre per lo schermo quando la scure del fiasco economico di Cenere si abbatté definitivamente sulle sue ambizioni cinematografiche[xvii]».



Sitografia


Cristina Jandelli. Le dive italiane nel cinema degli anni Dieci. «www.drammaturgia.it». 11 dicembre 2006 (https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=3144 , consultato il 20 febbraio 2023).



Flaviano Rossetto. Lyda Borelli, la diva del cinema muto che sposò il conte Vittorio Cini. «www.ossicella.it», 28 novembre 2022 (http://www.ossicella.it/monselice/lyda_borelli/ , consultato il 20 febbraio 2023).


Senza autore. PINA MENICHELLI, «www.mymovies.it», (https://www.mymovies.it/persone/pina-menichelli/23453/, consultato il 20 febbraio 2023).


Marco Beltrame. Pina Menichelli, la femme fatale del cinema muto italiano. «www.dasscinemag.it». 2 agosto 2021 (https://www.dasscinemag.com/pina-menichelli-la-femme-fatale-del-cinema-muto-italiano/ , consultato il 20 febbraio 2023).


Senza autore. FRANCESCA BERTINI, «www.mymovies.it», https://www.mymovies.it/persone/francesca-bertini/15576/, consultato il 20 febbraio 2023).


Senza autore. DIANE KARENNE, «www.mymovies.it» (https://www.mymovies.it/persone/diane-karenne/9690/, consultato il 20 febbraio 2023).


Davide. “Cenere” di Febo Mari: l’unica prova cinematografica di Eleonora Duse, «www.mymovies.it», 18 aprile 2017, (https://icinescopi.wordpress.com/2017/04/18/cenere-di-febo-mari-lunica-prova-cinematografica-di-eleonora-duse/, consultato il 20 febbraio 2023).


Laura Morazzini. Eleonora Duse: biografia, film e il rapporto con Gabriele D'Annunzio. «www.studenti.it» (https://www.studenti.it/eleonora-duse-biografia-film-rapporto-gabriele-dannunzio.html, consultato il 20 febbraio 2023).


Gaetanina Sicari Ruffo. Eleonora Duse. «www.enciclopediadelledonne.it» (http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/eleonora-duse/, consultato il 20 febbraio 2023).


Senza Autore. DUSE, Eleonora. «www.treccani.it» . (https://www.treccani.it/enciclopedia/eleonora-duse_%28Dizionario-Biografico%29/, consultato il 20 febbraio 2023).


Bibliografia


Cristina Jandelli. Le Dive Italiane Del Cinema Muto. Cuepress. Bologna. 2019.



Note

[i] Cristina Jandelli. Le Dive Italiane Del Cinema Muto. Cuepress. Bologna. 2019. P, 7. [ii] Ibidem. [iii] Ibidem. [iv] Cristina Jandelli. Le dive italiane nel cinema degli anni Dieci. «www.drammaturgia.it». 11 dicembre 2006 (https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=3144 , consultato il 20 febbraio 2023). [v] Ibidem. [vi] Ibidem. [vii]Ibidem. [viii]Ibidem. [ix] Ibidem. [x]Ibidem. [xi]Ibidem. [xii]Marco Beltrame. Pina Menichelli, la femme fatale del cinema muto italiano. «www.dasscinemag.it». 2 agosto 2021 (https://www.dasscinemag.com/pina-menichelli-la-femme-fatale-del-cinema-muto-italiano/, consultato il 20 febbraio 2023). [xiii] Ibidem. [xiii] Cristina Jandelli. Le dive italiane nel cinema degli anni Dieci. «www.drammaturgia.it». 11 dicembre 2006 (https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=3144 , consultato il 20 febbraio 2023). [xiv]Ibidem. [xv]Ibidem. [xvi] Senza Autore. DUSE, Eleonora. «www.treccani.it» . (https://www.treccani.it/enciclopedia/eleonora-duse_%28Dizionario-Biografico%29/, consultato il 20 febbraio 2023).

[xvii] Cristina Jandelli. Le dive italiane nel cinema degli anni Dieci. «www.drammaturgia.it». 11 dicembre 2006 (https://drammaturgia.fupress.net/saggi/saggio.php?id=3144 , consultato il 20 febbraio 2023).


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