Le margheritine: a tutti quelli che si indignano per un'insalata calpestata
- cinebucolico
- 22 mag 2023
- Tempo di lettura: 3 min

Kick me under the table all you want, I won’t shut up canta Fiona Apple in Under The Table, brano presente nel suo ultimo album Fetch The Bolt Cutters del 2020, I would beg to disagree, but begging disagrees with me, continua rifiutando una sottomissione ancorata e sfumata alla stessa idea di femminilità. Canzoni come queste e film come Le Margheritine costituiscono la liberazione per le donne da modelli femminili cementificati nell’immaginario sociale.
Vera Chytilova e la sceneggiatrice, Ester Krumbachova, portano sullo schermo due ragazze insolenti, impertinenti, perverse, spregiudicate, due diciassettenni dallo stesso nome: Maria, nome secolarmente caricato di determinate aspettative per il suo potere simbolico nel campo religioso. Ma le due Marie della Chytilova sembrano voler riconcettualizzare l’omonima figura cristiana: “perché alla base del nostro, come vuoi chiamarlo, giudaico cristiano c’è Maria, madre di Gesù, e lei è perfetta. È una vergine che ha generato la vita, che senza esitare ha supportato suo figlio, ha tenuto tra le braccia il suo corpo esanime. E il padre non era lì, non si è fatto vivo nemmeno per scoparla” esorta Laura Dern nel suo monologo in Marriage Story (Noah Baumbach, 2019). È sulla base di questa rappresentazione perfetta della donna che le due Marie della Chytilova costruiscono la loro personalità anarchica e “deviante” per l’istituzione patriarcale su cui è fondata la Chiesa. Le tematiche religiose non si increspano solamente nel nome delle due ragazze, vengono riprese in una delle scene iniziali quando le due danzano serenamente attorno ad un albero di mele in un onirico campo fiorito per poi tornare nella loro realtà: è lì che loro scelgono di “andare a rotoli” come il resto del mondo.
Il film si costruisce su un susseguirsi di vicende, senza una narrazione specifica o con una cronologia convenzionale, tutto ruota attorno alle due protagoniste e all’unico tema del film: il cibo. Le due vengono mostrate mentre divorano e si rimpinzano di tutto quello che riescono a trovare, mentre illudono ed ingannano uomini anziani in ristoranti di lusso, li derubano, li deridono, sono egoiste, volgari e disordinate.

Nella divina commedia di Dante Alighieri chi compie peccato di gola viene punito con l’Inferno e l’eccessiva ingordigia delle sorelle le porta ad una simile fine. La loro infinita ricerca di piacere attraverso il cibo viene associata alla lussuria e all’avarizia che i loro personaggi racchiudono.
Seppur satiricamente, la Chytilova cerca di distruggere la dignità delle due ragazze, le loro azioni sono spinte da desideri egoistici ed individualisti, totalmente passive al resto del mondo, così da anteporre il cibo davanti ad ogni altro aspetto della realtà.
Il film, uscito nel ‘66, diventa manifesto della Novà Vlna, la Nouvelle Vague cecoslovacca, movimento cinematografico nato da alcuni studenti della facoltà di cinema e televisione dell’Accademia di arte delle Muse di Praga, che, insoddisfatti della politica del regime comunista, coltivavano lo stesso obiettivo: rendere cosciente il popolo del sistema di oppressione in cui tutti erano immersi.
Ma i peccati di gola delle due Marie sono legati intrinsecamente alla distruzione e alla morte. Il loro consumo sproporzionato e sperperato del cibo è affiancato alla distruzione che si vede in alcuni frame iniziali dove si alternano immagini di bombardamenti, missili, scene di guerra, di un mondo devastante e devastato al quale le due si conformano diventando esse stesse metafora del degrado moderno, rappresentando sia la totale anarchia e liberazione dalle restrittive regole del regime comunista che archetipi avidi ed egoistici del sistema capitalista.

L’estetica protratta nel film ne definisce la sua artificiosità, le azioni delle ragazze sono robotiche, la composizione delle scene è qualcosa di costruito, finto ed armonico, una realtà stilizzata e filtrata, una messa in scena che, come tale, deve essere percepita dagli spettatori, che rimangono attenti e attratti dalle insensate peripezie delle due ragazze. Un’opera surrealista e dadaista che rifiuta gli standard artistici, accoglie la libertà espressiva e la stravaganza estetica, passando dai colori, al seppiato, al bianco e nero senza una motivazione narrativo-estetica coerente ma solo per il gusto di poterlo fare, per espandere il concetto di liberazione anche allo stesso prodotto cinematografico.
Anche la sceneggiatura è robotica e artificiale, le parole delle due Marie sono sovversive e sediziose, “Perché si dice ti amo e non uovo?” chiede la bionda mentre ascolta il messaggio che un giovane innamorato le sta lasciando al telefono. Le loro parole si avvicinano ad una poetica cruda, volgare, eversiva e nichilista, ricordando la poetica di Jana Cerna, figlia dell’adorata Milena di Kafka, che scrive del desiderio femminile con limpida schiettezza, dando voce al piacere sessuale in tono ironico e leggero. Così le due ripetono in continuazione la loro perversione, perversione rivolta in un'unica direzione: essere amate, ammirate, guardate dagli uomini mentre loro giocano e sminuzzano qualsiasi alimento di forma fallica con eterea infantilità.

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