MATRIX RESURRECTIONS: ALBE DI NON MORTI VIVENTI
- cinebucolico
- 16 nov 2022
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 21 nov 2022
A cura di: Alberto Iorio.

Matrix Resurrections appare un film molto complesso dal momento in cui opera una sintesi imperfetta tra mainstream e underground. Mainstream è ciò che fruisce la massa, la “maggioranza”; underground è invece il prodotto di nicchia, destinato a un pubblico minoritario. La saga originale di Matrix basava la propria esistenza sul dualismo mainstream/underground, tentando di unire più tipologie di pubblico e mescolando elementi di estrazione eterogenea, sia a livello estetico che narrativo e semiopragmatico (ciò che ruota “intorno” al film - la transmedialità della saga di Matrix è da anni oggetto di studi). In Matrix Resurrections questa operazione di conciliazione non riesce a mio parere, risultando quasi esclusivamente inclinata a favore dell’intrattenimento, come avrò modo di dimostrare; è probabilmente la risultante di un calcolo sbagliato sui pubblici, decisamente cambiati rispetto a venti anni fa.

Il film può essere suddiviso in due parti: a un primo tempo “metacinematografico” in cui vengono lanciati più che validi elementi di studio (come brevemente citato in precedenza, il primo Matrix contiene al suo interno valide riflessioni sia di natura cinematografica che filosofico/esistenziale - e non è, parafrasando un passo di Resurrections, solo questione di bullet time) si contrappone un secondo tempo completamente destinato all’azione e, a mio avviso, molto meno riflessivo. L’obiettivo del primo tempo è di nuovo la liberazione di Neo dalle macchine, che passa attraverso tante strizzatine d’occhio alla postmedialità; quello del secondo la liberazione di Trinity, “personaggia suo malgrado” (come avremo modo di approfondire).

Anticipando uno degli elementi più interessanti e controproducenti del film, in Matrix Resurrections non esiste una reale paura della morte: il salvataggio di Neo dalla Matrix appare non più un obiettivo “fatale” ma un processo replicabile all’infinito, appunto come in un videogioco: se Neo dovesse rinunciare alla pillola rossa avrebbe infinite altre “vite”. E anche grazie a questo l’azione, la cui resa è influenzata da vent’anni di cinema che prende il via dal primo Matrix, appare completamente scorporata dalla narrazione, attrazione fine a sé. E qui individuo un primo problema. Accumulare topoi del film d’azione (anche e soprattutto a livello di ripresa) non conduce in questo caso lo spettatore verso criticità di alcun tipo, dal momento in cui quei topoi non vengono “disinnescati”. Facendo un breve esempio: nel film vediamo molti soldati, spesso impegnati in azioni di gruppo contro i protagonisti e come già individua Franco Marineo ne Il cinema del terzo millennio, gruppi armati di questo tipo sono forze risolutive e compatte, vere macchine di morte acritiche; nulla di tutto ciò traspare dal momento in cui la loro presenza rimane a livello di “citazione di genere”.

Nonostante il montaggio sia costellato di scelte interessanti, la struttura narrativa appare incrollabilmente cementificata di cliché (che finiscono per soffocarla), che vanno dalla storia d’amore che oltrepassa la morte alla “call to action” dei soldati; e qui mi soffermerei sul caso Trinity. Trinity incornicia l’inizio e la fine del film, apparendo dunque sin dall’inizio come “un goal”; uno degli scopi che vengono enunciati fin dall’inizio è esplorare meglio la sua figura a livello umano, così come a Morpheus viene data una background story che giustifica l’assenza di Laurence Fishburne. Tuttavia una vera introspezione del personaggio non avviene mai: sembra che il massimo dell’indipendenza di Trinity risieda nel fatto che impari a volare prima di Neo, in modo da salvarlo provvidenzialmente nel climax del film, e in una estemporanea quanto poco nitida rinuncia alla famiglia tradizionale nel momento in cui le viene chiesto dall’Analista di scegliere tra l’amato (?) Neo e il marito e i figli.

Una ulteriore criticità che porta il film più verso il “banale” che verso la “riflessione sul banale” è il continuo ricorso al registro della commedia (la scelta per il ruolo dell’antagonista di Neil Patrick Harris, iconicamente Barney Stinson in How I Met Your Mother, è a sua volta significativo) senza che esso venga complicato in alcun modo; il finale è un happy ending senza compromessi, con il cattivo (Barney l’Analista) che non solo appare sconfitto ma anche innocuo e burlone. I cattivi non esistono davvero, ci sono solo temporanei opponentes con cui si può uscire a fare aperitivo al Simulatte dopo la battaglia: l’agente Smith, che subisce come Morpheus un drastico recasting, si allea temporaneamente con Neo per sconfiggere l’Analista, salvo poi sparire completamente da perfetto espediente narrativo; il Merovingio sbiascica qualcosa sui reboot e sui sequel che dovrebbe riflettere l’atteggiamento fuori dallo schermo di chi odia a prescindere qualsiasi nuova aggiunta a una “serie sacra”, ma che fattualmente appare più come uno sterile inside joke che altro. Alla luce di questa “rivelazione della farsa” finale, tutti i punti di criticità vengono definitivamente privati di significato: è la vittoria di una volontà postmodernizzante che ignora molti avvenimenti dell’ultimo ventennio che sembrano invece aver fatto “rinascere la storia”.
Certo Matrix Resurrection pone molti interrogativi, ma probabilmente nel modo peggiore possibile: appare un caso studio “in negativo”, in quanto gli spunti che esso offre sono quasi tutti "eventi mancati".

La critica generale che lancio (il film si lascia trasportare dalle attrazioni e abbandona tutti gli spunti critici) può essere ancor meglio compresa se “trasportata” in un caso particolare, quello della fotografia: se nel primo tempo si mette in evidenza uno “stile stock” che diviene il nuovo stile visivo della Matrix (e viene anche confrontato direttamente con quello verde e diffusamente illuminato dei primi tre Matrix), che appare tanto più interessante quanto vere “foto stock” appaiono il focus di diverse inquadrature, a creare un gioco di mise en anime che lascia presagire altro; lo stile stock non viene però sconfessato nel secondo tempo, anzi gli si contrappone flebilmente solo una fotografia “terminatoreggiante” che appare mera citazione alle radici cyberpunk che questo mondo aveva nei primi tre film. Ed è qui che arrivo al vero problema alla base di Matrix Resurrections: non ci sono vere cesure, veri tagli, vere novità. Anche in una non-vita videoludica, che unisce vita e morte, organico e inorganico, esiste un dramma implicito, che qui non viene assolutamente colto (o peggio, viene banalizzato). Nessuno più crede al messaggio che Neo e Trinity vogliono portare in giro per la Matrix, specialmente dal momento in cui il messaggio stesso non è chiaro: non viviamo già coscientemente in un mondo fatto di un dualismo tra reale e virtuale, e in cui occorre saper scegliere autonomamente quanto tempo passare nell’uno e quanto nell’altro?
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