top of page

Norma Jeane e le fiere di Hollywood: viaggio in "Blonde" di Andrew Dominik

  • Immagine del redattore: cinebucolico
    cinebucolico
  • 20 gen 2023
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 21 gen 2023

a cura di: Chiara Musicò.

Una delle scene di Blonde


Schermo nero. Alcune note di pianoforte. Sta per accadere qualcosa. Seconda nota acuta: un flash. Un altro. Terzo flash: una donna di schiena che trattiene la gonna del suo vestito bianco, agitato dal vento. I paparazzi, lei che fugge. I riflettori. I meccanismi dei riflettori. Ora la vediamo meglio, Marylin: sta posando sorridente, illuminata come una stella. La scritta “Blonde” appare sullo schermo, dapprima composta di fiamme; dunque si cicatrizza come se fosse un timbro, per poi riempirsi di acqua e scomparire: metafora perfetta per anticipare la storia che si sta per raccontare. Una «valanga di immagini ed eventi» - così si esprime il regista Andrew Dominik in merito al suo film - che travolge e scompensa, sciocca e stupisce, trascina e urta. Secondo riadattamento del romanzo omonimo di Joyce Carol Oates, uscito nel 2000, Blonde è un film paralizzante, intenso, estirpatore di empatia.


«The circle of lights is yours. You enclose yourself in the circle. You carry it with you wherever you go» («Il cerchio di luce è vostro. Entrate in quel cerchio. Portatelo con voi ovunque andiate»): una via d’uscita dall’incubo dell’esistenza, una prigione che la divora fotogramma dopo fotogramma. Il cerchio di luce è la linea di demarcazione fra Marylin Monroe – la cui vita è raccontata con sequenze in bianco e nero – e Norma Jeane Mortenson Baker – la cui esistenza è mostrata a colori. Due facce di una sola medaglia, sempre girata a faccia in su. Una donna che, come la luna, viene vista da tutti e contemplata solo nella sua parte visibile. Norma, il cerchio luminoso, se lo porta dietro fino ad esserne completamente divorata.


Una delle scene di Blonde


Il volto raggiante di Marylin nasconde i mostri di un’esistenza lacerata da traumi profondi come crateri. L’assenza del padre, le violenze della madre, la solitudine e l’abbandono pongono le basi per una vita destinata alla costante ricerca di amore e di autoaffermazione. Possono, l’ammirazione e le attenzioni di innumerevoli persone, colmare dei vuoti così grandi?

Norma Jeane entra nel sistema divistico tramite il suo corpo, che viene “comprato” e dato in pasto alle fiere di Hollywood. La macchina la accoglie, la stupra e la consuma. Il mondo misogino e maschilista di quegli anni la spolpa come un pezzo di carne fresca. Ogni tentativo da parte di Norma di riemergere in superficie viene stroncato da un sistema profondamente marcio, alla costante ricerca del “prodotto che vende”. Il bisogno del pubblico maschile è soddisfatto da altri uomini, che antepongono il mercato al valore della persona: e così il corpo femminile viene sempre più oggettificato, sovraesposto, servito ad un pubblico sempre più avido. L'iconizzazione e la costruzione di un'immagine divistica assumono tratti forti, quasi macabri: Norma stenta a tracciare un confine fra lei ed il suo personaggio, tanto da venirne annichilita. I produttori, gli amanti, i medici, i colleghi vedono solo Marylin. "Io ti ho inventata", le ribadisce l'agente. Blonde denuncia a gran voce questa aderenza persona/personaggio, che contraddistingueva Norma e tutti coloro che sono diventati leggende del cinema. In questo ambiente, infatti, nel corso dei decenni si sono susseguiti casi di attori completamente assorbiti dalla loro controparte diegetica: Bartolomeo Pagano, divo del cinema muto - che in Cabiria, nel 1914, viene presentato al mondo come Maciste - che si ritrova a dover incarnare i tratti del suo "nuovo io" sia nei film successivi, sia nella vita reale; è il caso anche di Ines Orsini, la quale – dopo aver assunto il ruolo di attrice protagonista di Cielo sulla palude nel 1949 – vede la sua identità completamente inglobata nel personaggio mistico di Maria Goretti e, da qui in avanti, rilascia interviste, intraprende pellegrinaggi, compie opere di carità, scrive lettere agli ammiratori avvalendosi di questa nuova identità. Marilyn Monroe non è, quindi, un semplice pseudonimo, ma un'identità a sé stante che arriva ad annientare Norma Jeane. Anche Claudia Cardinale subisce, per un periodo, il rapporto lavorativo instauratosi fra lei, il produttore Cristaldi - il quale spesso e volentieri le usa violenza sessuale - ed il giornalista Rinaudo - che, su istruzione di Cristaldi, la ammonisce su come rispondere alle interviste, ne decide la carriera e la vita privata, la segue ovunque e ne imposta l'immagine.


Una delle scene di Blonde

Una delle scene di Blonde


Chi guarda è testimone impotente. Norma Jeane è privata dell’amore, del rispetto, dell’individualità. Si ritrova paralizzata, incapace di reagire ad un meccanismo che usa come carburante l’identità di chi ci cade dentro. Massima espressione di questo concetto sono le scene in cui vengono mostrati gli stupri, le violenze, gli aborti. Alcuni abusi vengono accennati con immagini dalla durata relativa brevissima, quasi come se si volesse trasmettere immagini subliminali: questo espediente li rende ancora più raccapriccianti, restituendo allo spettatore la sensazione del ricordo di un trauma. Altri eventi forti – le sequenze degli aborti, ad esempio – vengono invece presentati in tutta la loro crudezza e totalità: qui pervade la sensazione della paralisi, del disgusto, dell’angoscia, che colpiscono con violenza il fruitore, costretto ad assistere senza poter intervenire.


Una delle scene di Blonde


La maternità è uno dei temi centrali di Blonde: essa viene presentata nel suo lato più oscuro, crudele, doloroso. Le gravi mancanze da parte della madre Gladys nei confronti di Norma si ripercuotono per tutta l’esistenza della ragazza, che costantemente si ritrova a soccombervi. Il più grande desiderio di ricevere l’amore materno viene respinto sia durante l'infanzia, tramite le numerose violenze, sia in età adulta, quando la madre non la riconosce più. Questi traumi si riflettono nel rapporto che Norma avrà con se stessa e con le gravidanze. Gli aborti, raccontati in modo struggente, ne sono la massima espressione.


Ana de Armas regala un’interpretazione straordinaria: il lavoro sulla voce – per l’eliminazione dell’accento cubano e per la gestione dell’intonazione e del timbro – e quello sulle movenze – studiate al millimetro e capaci, tramite la gestualità inconscia, di trasmettere messaggi di grande autenticità emotiva – potenziano la mimica facciale dell’attrice, i cui occhi sono capaci di aprire mondi. Ogni emozione crea voragini grazie all’impressionante abilità nella gestione della micro espressività e le impercettibili ma evidenti transizioni da uno stato d’animo all’altro, segno di una totale immersione di de Armas nel personaggio. È possibile percepire i cambi repentini di umore, la comparsa di un’emozione, il formarsi di un pensiero ed ogni variazione di stato d’animo di Norma. L'indiscussa maestria della costumista Jennifer Johnson e degli addetti al trucco Tina Roesler Kerwin e Jaime Leigh McIntosh amplificano e rafforzano queste caratteristiche, compiendo un atto di trasformazione straordinario: Ana stenta a riconoscersi, nei panni di Marylin. Ana è Marylin.


Degno di nota e attenzione è l'intenso lavoro di post produzione, che unisce un montaggio altamente dissociante ad una cura per il formato che lascia sorpresi. Le sequenze deliranti in cui Norma subisce l'effetto degli psicofarmaci diventano così potenti e stranianti, intensificando l'effetto di immersione spettatoriale verso cui tutti gli altri aspetti del lungometraggio propendono.


A sinistra Ana De Armas, a destra Marilyn


Presentato alla 79°edizione del Festival Del Cinema di Venezia, Blonde viene accolto con una standing ovation di 14 minuti. Nonostante le numerosissime critiche negative, resta uno dei film più intensi ed efficaci usciti nel 2022.



Comments


bottom of page