Picnic a Hanging Rock - l'ignoto (sopra)naturale
- cinebucolico
- 23 dic 2022
- Tempo di lettura: 4 min
A cura di: Bianca C.
"Sabato 14 febbraio dell'anno 1900, un gruppo di allieve del collegio Appleyard andò in picnic ad Hanging Rock, località australiana nello stato del Vittoria. Di ciò che accadde allora questo film è il resoconto." Durante il pomeriggio, quattro di loro si allontanano sui pendii della montagna: Miranda Reid, Marion Quade e l’insegnante Greta McCrow non torneranno mai più.

Picnic a Hanging Rock: un romanzo di Joan Lindsay, un film di Peter Weir, un’invenzione che per qualche motivo sa tanto di verità storico-cronachistica. Vidi il film quasi una decina di anni fa, ma mi resi conto di conoscere già la storia, che apparentemente mi fu raccontata dalla mia maestra alle elementari. Mi rimase impressa nella memoria: ad oggi mi sembra di averla conosciuta da sempre. La potenza di quel mistero in qualche modo mi appartiene.
Scrivo poco dopo aver concluso la lettura del romanzo, caratterizzato da una prosa non lineare e immaginifica; la stessa atmosfera è stata ricreata nel film, tramite il frequente utilizzo di sovrimpressioni, enigmatiche ellissi temporali, una modalità narrativa scarna e sottile, una decisa attenzione al comparto sonoro e la consapevole fiducia nella pervasività delle immagini.

“A volte penso che pochi esseri abbiano uno scopo. Ma probabilmente uno scopo esiste per tutti, in disegni misteriosi.”
Quella di Hanging Rock è la storia di una scomparsa spaventosa, che può però essere letta come una semplice occorrenza nel normale fluire del tempo del mondo. Qualcosa di soprannaturale è successo, ma è un fatto che non fa che evidenziare l’aspetto più basilare dell’esistenza umana, ovvero l’inconsistenza della vita del singolo, l’ineluttabilità della morte. L’evento è misterioso, ma non contro natura: nonostante ciò, viene recepito come una crepa profondissima e insanabile nel complesso e rigoroso sistema sociale del collegio, del paese, della nazione, dell’intera civiltà occidentale. L’evento è misterioso, ma è solo un piccolo assaggio di ciò di cui la natura è capace. La natura australiana, così inaccessibile, attraente, estranea, in cui animali e piante sono testimoni silenziosi delle forze incontrollabili di cui sono figli. La civiltà risulta impotente, le norme sociali inutili, la colazione sull’erba ridicola: ciò che conta è ben altro, ma pochi sono destinati ad avvicinarsi alla comprensione.

“Miranda conosce cose che pochi altri conoscono, segreti. Sapeva non sarebbe tornata”. Miranda è un cigno, un animale puro e solitario, Miranda è un angelo del Botticelli, un’anima che è impossibile non amare, uno spirito sensibilissimo che respira il suo destino, che si compirà il quattordici febbraio 1900, ad Hanging Rock, lassù. L’elezione la accosta a Marion e Greta McCrow, anch’esse ammesse al mistero del tempo in quanto intelligenze superiori.

“C’è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine.” Questa storia non è altro che una raffinata ed eterea metafora del tempo, che inesorabile e crudele inghiotte ogni essere, ogni sentimento e impressione. Il mistero si compie in un frammento di esistenza che sarà vissuto come un blackout, una parentesi oscura seppur luminosa, un momentaneo arrendersi dell’ordine delle cose. La civiltà abbassa la guardia e la natura è libera di dispiegare la sua superiorità attraverso una sospensione metafisica entro la quale ogni incanto è libero di compiersi. L’essere umano è diverso dagli alberi centenari e dalle rocce millenarie: il tempo che ci è dato è incredibilmente poco, le conoscenze limitate, le forze inutili. Il sentire del tempo è arbitrario e la frequente comparsa di orologi simboleggia il tentativo fallimentare della civiltà di imporsi in suolo australiano: quello di Mrs Appleyard continua a ticchettare di costante nervosismo e frustrazione fino al suo suicidio; quelli del cocchiere Hussey e di Greta McCrow sospendono il loro lavorio di fronte ad una realtà non più commensurabile; Miranda invece non indossa più il suo, perché ne detesta “il ticchettio sul cuore”: ella ha iniziato da tempo a liberarsi dai costrutti umani che la tengono ancorata a terra.

L’atmosfera di quel pomeriggio è trasognata, onirica, eterea, dolce. Le formiche brulicano instancabili su cibo e carni scoperte, monito di una sorte comune verso cui tutto rapidamente si muove, ma che in quel momento, dimenticato dal tempo, appare fatalmente lontana. L’attrazione mistica, allucinata e tragica che esercita la montagna è intensa, magnetica e impossibile da combattere. Arrivate ormai in alto, le ragazze sono incantate dalla forza ammaliatrice del monolite e il sonno si impossessa dei loro corpi: giacciono scomposte, abbandonate, esposte alla forza naturale che serpeggia attorno a loro. Forse ciò che avviene da qui in poi è un sogno. “La vita è un sogno, soltanto un sogno. Il sogno di un sogno”: le profetiche parole di Miranda che aprono il film, possono quindi trovare significato. Se la vita è un sogno, quello che sta accadendo è lecito, plausibile. Forse ciò verso cui le ragazze tendono è il reale, seppur intangibile e invisibile: la morte, da intendersi come passaggio dimensionale.

Il malessere che accompagnerà la seconda parte della narrazione e che non abbandonerà i personaggi se non alla loro morte, è una discesa inesorabile che fa da contraltare al moto ascendente delle quattro giovani sulla roccia. Il declino culmina con l’episodio di isteria verso Irma Leopold, colpevole di essere sopravvissuta e di non ricordare nulla dell’accaduto: l’aggressività improvvisa delle compagne proviene da una sofferenza inespressa, data da un’esistenza cristallizzata e opprimente, che condanna ogni emozione intensa e leva il respiro come un corsetto.

Ma è il romanzo stesso a nascondere un mistero: il capitolo XVIII, uscito postumo, mai tradotto in Italia. Qui viene parzialmente rivelato ciò che accadde alle tre donne quel giorno, ma il film di Weir ignora tali informazioni, essendo uscito più di dieci anni prima.
Nel XVIII capitolo la sospensione spazio-temporale diventa reale e tangibile: i loro abiti restano trattenuti a mezzaria da una forza invisibile, le regole gerarchiche tra insegnante e allieve vengono dimenticate, così come i “contrassegni individuali” (ovvero i nomi). Miranda, Marion e Greta si inseriscono in una fenditura temporale, uno spazio ignoto che appare come presenza, non come assenza e che subito viene richiuso da una frana, lasciando Irma esclusa da questa miracolosa e ancestrale destinazione. La totale liberazione dalle costrizioni e lo scavalcamento verso il pericolo ignoto non spaventano le tre, che appaiono anzi raggianti e bellissime: non torneranno mai più.

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