Sei occhi per "Bones and All"
- cinebucolico
- 23 nov 2022
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 7 dic 2022
A cura di: Gisella, Camilla, Chiara Musicò .
Alla 79° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Bones and All vince il Leone d’Argento per la miglior regia e vanta nel cast la presenza di Timothée Chalamet e di Taylor Russell – che quest’anno vince anche il premio Mastroianni come miglior attrice emergente. I giovanissimi attori recitano nei panni del vagabondo Lee e dell’emarginata Maren, due adolescenti che vivono il loro primo amore in un’America Reaganiana, scappando dagli orrori del loro passato.
Oggi, mercoledì 23 novembre 2022, Bones and All esce in tutte le sale cinematografiche. Per questo motivo, noi del team di Cinebucolico, abbiamo deciso di pubblicare uno speciale: Gisella, Camilla e Chiara, avendo avuto l’opportunità di vederlo in anteprima a Venezia 79, ci tengono a parlarvene in un articolo a sei mani.
Introduzione a cura di Chiara Musicò.

Cosa ne pensa Gis
Ricordo il momento in cui sono partiti i titoli di coda di Bones and All come se l'avessi vissuto ieri. Il mio amore per i film di Guadagnino esplode sempre durante i titoli di coda, quando si spegne anche l'ultimo fotogramma e mi rendo conto che lascerò per sempre un pezzo di me in quella sala, a quel film. Ed è stato così anche questa volta, con la storia di Lee (Timothée Chalamet) e Maren (Taylor Russell). Probabilmente questo film posso definirlo il mio Bones and All, il mio pasto completo, il cinema allo stato puro. Quello che usa l'arte, le metafore, per raccontare
quella che potrebbe essere la vita di qualsiasi spettatore. In questo caso è la vita di due ragazzi in un viaggio che gli permette di scoprirsi, legati dall'amore e da una natura che li costringe a scappare.
Il cannibalismo usato come metafora della diversità, ma che è anche la parabola
di un amore, per l'appunto, carnale. Attraverso immagini forti, interpretazioni fenomenali e una colonna sonora rock e sentimentale, Guadagnino ci accompagna in un racconto viscerale, veloce e violento, ma allo stesso tempo delicato, di un amore incompreso. Grazie alle interpretazioni dei due protagonisti e a quella di Mark Rylance (Sully), che interpreta quello che potrebbe essere definito il ruolo di una coscienza sporca, un diavolo tentatore, quella parte di cui non ci si riesce a liberare, il film riesce riesce a portare in scena il racconto nel modo più umano possibile. Il sangue è un peccato da cui i personaggi non si riescono a lavare, un destino dal quale non riescono a sfuggire. Ma anche una possibilità di salvezza, un amore che va oltre l'umano, e che ci fa capire quanto a volte lottare per allontanarci da qualcosa in realtà ci riporti ancora più vicino ad essa. Che anche il dolore ci rende ciò che siamo e che a volte l'amore può davvero salvarci la vita, non solo in maniera terrena.
Cosa ne pensa Camilla
Ho avuto l’opportunità di vedere questo film due volte in anteprima: la prima nell’incantevole cornice del Lido di Venezia durante il festival del cinema e la seconda nell’immensa sala del The Space Odeon a Milano il 12 novembre.
In questo lungometraggio Luca Guadagnino rinnega completamente le sue radici italiane presentandoci una visione dell’America degli anni ‘80 on the road. Ed è ciò che lo distingue dal suo precedente e acclamato lavoro “Chiamami col tuo nome” (con il medesimo protagonista: Timothée Chalamet) che pur servendosi di un cast multilingue, riesce a lasciar trasparire l’impronta della sua italianità attraverso suoni e comparse circostanti da qualche parte nel nord Italia.
Tornando a Bones and All, si presenta come un film sul cannibalismo ma che può essere considerato come un inno all’amore, alla solitudine, all’accettazione e soprattutto alla diversità. Il cannibalismo, utilizzato come metafora per rappresentare l’emarginazione sociale, la costante ricerca di un proprio posto nel mondo, ma anche per esprimere la dipendenza, come la fame della protagonista, che appare come una fame primordiale e primitiva: una vera e propria necessità ma che crea disagio e paura quasi come se si trattasse di una perversità, qualcosa di cui vergognarsi e difficile da accettare.
Tra i due protagonisti (Maren e Lee) si crea un’”affamata” intesa: ottima e credibile l’interpretazione di Taylor Russel che le ha permesso di accaparrarsi il Premio Mastroianni come miglior attrice emergente alla settantanovesima edizione del Festival di Venezia (a mio avviso molto meritato). Un appunto sul secondo protagonista interpretato da Timothée Chalamet, che pur essendo di parte (non lo nego) non mi ha trasmesso il solito magnetismo che lo contraddistingue, a tratti mancava di espressività. Nel complesso, si tratta di due notevoli interpretazioni legate da una profonda chimica.
Tuttavia, nonostante le buone premesse: il messaggio implicito della pellicola, l’astuta scelta del cast e la mia stima nei confronti di Guadagnino, per ben due volte non sono uscita dalla sala pienamente soddisfatta. Complice anche il fatto di non essere particolarmente incline a questo tipo di canovaccio dai tratti inverosimili e disturbanti.
Al di là del mio gusto personale, non ho dubbi sul successo che riscontrerà questo film, già con la vittoria del Leone d’Argento come miglior regia a Luca Guadagnino ne abbiamo avuto un assaggio.
Per concludere, ci terrei a ricordare i momenti speciali che mi ha fatto vivere questo film al festival del cinema di Venezia.
2 settembre, ore 22:10 per l’esattezza, si accendono i riflettori ed entra in scena Alberto Barbera (direttore della Mostra del Cinema) che con enorme sorpresa presenta il cast al pubblico per un saluto. Ancora turbata dalla visione, neanche il tempo di realizzare, il pubblico si trasforma in una folla infervorata, con i cellulari alzati e si dirige verso lo schermo. A quel punto sono io ad uscire di scena, o meglio dalla sala e mi ritrovo davanti agli interpreti del film, si può dire che siamo usciti dal cinema tutti insieme. Questo mio scatto rubato ha tentato di immortalare la meraviglia e la fugacità di quel momento.

Altrettanto indimenticabile è stata la premiazione di Luca Guadagnino con il Leone d’Argento come miglior regia e un commovente discorso sul cinema che ha emozionato l’intera sala. Poco dopo venne dichiarata ufficialmente chiusa la settantanovesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il che scaturì un caloroso e speranzoso abbraccio tra me e le mie compagne di viaggio in risposta alla magia che ci aveva regalato il Lido quei dieci giorni.
Cosa ne pensa Chiara
È la mia prima volta nelle sale del Festival del Cinema di Venezia in quanto giurata di Venezia Classici. Riesco a trovare un buco fra le proiezioni della mia sezione, prenoto un posto per Bones and All alle 11:15. Ho fame, ma so che mangerò post proiezione. Scende il buio nella sala: tutti si preparano al nuovissimo film di Guadagnino. All’apparenza un tetro teen movie: una giovane ragazza, molto solitaria, viene invitata ad un pigiama party dalla sua unica amica. Esce di nascosto dopo essere stata rinchiusa in camera dal padre e raggiunge il gruppo a casa della compagna di classe. Quello che sembra essere un momento erotico si trasforma nell’orrore: la protagonista, interpretata da una splendida Taylor Russell, stacca un dito a morsi ad una delle ragazze. In sala si propaga un brivido. Mi trovo accanto ad una donna tedesca, probabilmente una giornalista: la scena del dito è per lei esilarante. Ride di pancia mentre segna sul suo taccuino alcuni appunti. Il film prosegue e le scene divengono esponenzialmente sempre più splatter, le risate della signora si trasformano in smorfie schifate. A metà film fugge dalla sala.
Un film crudo, che non lascia nulla all’immaginazione: Guadagnino porta sullo schermo la bestialità pura, presentando il cannibalismo come uno strano superpotere. La fame pantagruelica che accomuna “quelli come loro”, li classifica quasi come una specie a sé rispetto all’umanità comune. «C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove» afferma Guadagnino: una commozione che si avverte dal primo minuto fino agli ultimi secondi di Bones And All. Il sentirsi sbagliati si alterna al bisogno irrefrenabile di un pasto per nutrire ciò che si trova dentro di sé. L’interesse per «i loro viaggi emotivi» sfocia nella costruzione di dialoghi intensi e tesi, che svelano i diversi codici comportamentali tenuti dalle vittime di questo morbo, molto più numerose di quanto Maren - Taylor Russell - pensi. Il tetrissimo Sully - Mark Rylance -, all’inizio ligio nel seguire il suo codice comportamentale, compie un tentativo di razionalizzare il più estremo istinto bestiale di fronte ad una inesperta e terrorizzata Maren, introducendola alle “regole della caccia” che si è autoimposto: la numero uno è “mai mangiare uno di noi”; la seconda è “mangiare chi è già morto”. Come i Centauri di Dante, questi cannibali sono umani vittime di una feritas incontrollabile che li animalizza, fa perdere loro il controllo: per quanto esseri viventi con dei valori, la perdita della ragione è capace di far compiere loro azioni riprovevoli e pregne di bestialità. Una feritas primordiale, spaventosa, che invade la mente. Maren e Lee vogliono allontanarsene a tutti i costi e cercano di fuggire da ogni tentazione, venendo però raggiunti sempre molto rapidamente dal proprio passato. Uomini ma anche animali, capaci di riconoscere quelli della loro specie anche solo tramite l’olfatto, proprio come le belve a caccia. Noi vediamo tutto, Bones – and – all: assistiamo alla degenerazione della mente umana ma anche ai tentativi di fuggirne. Lee e Maren cercano la propria tribù per sentirsi finalmente parte di qualcosa, ma quando ne incontrano i componenti si rendono conto di non fare parte nemmeno di questa.
Bones And All è un' odissea adolescenziale che li vede soli al mondo mentre scoprono l'amore. Una passione carnale in tutti i sensi, quella che muove il lungometraggio. Cosa è davvero giusto? «Un’opera d’arte romantica e inquietante», scrive il Times: la medesima cosa che ho pensato vedendo una delle sequenze che mi hanno lasciato più segni, ossia quella all’interno dell’allevamento di bovini. Avranno famiglia? Si chiede Maren. Chi lasceranno al momento della morte? Un dialogo che accende una lampadina, facendo pensare a un parallelismo con le vittime che si sono lasciati alle spalle…O può essere forse letto come un appello alle coscienze di chi mangia carne.
Cos’è questa fame incontrollabile, feroce? Appetito sessuale? Malattia mentale?
Il cannibalismo, la crescita, il vegetarianismo, la formazione della coscienza e le pulsioni freudiane, la feritas, l’esclusione dai binari della società: tutte chiavi con cui leggere Bones and All.
Titoli di coda: esplode un applauso scrosciante, qualche fischio si distingue nel fragore generale. La Sala Grande si svuota piano piano, rimango seduta per qualche minuto. È ora di pranzo. Appetito: scomparso.

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